Bruno Bellomonte: tra indipendentismo e repressione coloniale, di Luigi Piga

 

Lunedì 21 novembre è stato un giorno fondamentale per l’indipendentismo sardo e le battaglie che esso porta avanti contro lo stato coloniale italiano in terra Sarda. La liberazione di Bruno Bellomonte e la sua detenzione durata 29 lunghissimi mesi, solleva mille interrogativi e infiamma, fortunatamente, il dibattito sull’indipendentismo sardo e il rapporto tra il popolo sardo e lo stato italiano, per sua natura, quest’ultimo, avverso a questa spinta popolare e politica nell’Isola.

Nello scrivere questo articolo verranno fornite, oltre che, alcune delle motivazioni e circostanze per le quali si può definire quella di Bruno Bellomonte, senza paura di essere additati come eversivi, un’incriminazione e una detenzione puramente politica.

Si riporteranno alcune testimonianze e riflessioni in merito all’incontro di sabato 26 tenutosi a Sassari per salutare pubblicamente Bruno e discutere della questione indipendentista e della sua repressione.

Sono cosciente della pesantezza di tale affermazione e di quelle che seguiranno, ma ho dalla mia la coscienza umana e l’amore per il mio popolo, in parte sopraffatto, in parte inerme, in parte impotente, a volte complice, a volte ribelle. E questo è il caso di Bruno Bellomonte e dei suoi compagni di A Manca pro S’Indipendentzia (in seguito MpSI), ma in generale di tutto il movimento indipendentista sardo nelle sue mille sfaccettature, anche molto differenti tra loro.

Se ancora per molti sardi e non il termine indipendentismo evoca uno stato di cose irraggiungibile, oppure indesiderabile economicamente e non, una realtà distopica che suscita per questo insicurezza e diffidenza, per il governo italiano il sentimento è diametralmente opposto nell’attenzione dedicata al fenomeno e quindi alle azioni intraprese di conseguenza.

La cultura indipendentista di MpSI, partito indipendentista di estrazione comunista, si basa sul quotidiano attivismo e un impegno su alcune contraddizioni dell’azione italiana in terra sarda. Contraddizioni che creano disagio al popolo sardo e ne pregiudicano lo sviluppo economico e non, anzichè garantirlo, come molti purtroppo ancora sono convinti che lo stato italiano faccia. Alcuni esempi.

Attivismo su problema entrate e questione Saras, questione questa sia economica che ambientale; repressioni e abusi carcerari; servitù militari e occupazione da parte di Nato, USA e Ministero della Difesa italiano; distruzione negli ultimi decenni del sistema produttivo sardo con l’orientamento dell’economia isolana verso settori (chimica ed estrattivo) più congeniali alle dinamiche e agli interessi dello stato italiano e le sue imprese pubbliche; carenza infrastrutturale della Sardegna, problema non adeguatamente affrontato nè a Roma nè nella sede di Via Trieste a Cagliari, che porta la nostra Isola ad essere l’unica d’Europa a non avere un trasporto merci su linea ferroviaria.

La lista potrebbe continuare, ma in questa sede conta particolarmente sottolineare come nel momento in cui tutte queste attività e idee in merito a ciò che sia meglio per il popolo sardo (sarà poi il popolo stesso a decidere cosa sia più opportuno, se seguire MpSI o un altro partito indipendentista, o nessuno dei due, o rispondere in modo anarchico solamente ai precetti della propria coscienza) vengono convogliate in una prospettiva indipendentista, vengano viste dallo stato italiano come una minaccia, un’azione eversiva e pericolosa. I mezzi con il quale contrastare l’intero movimento indipendentista, nel caso specifico MpSI, sono la repressione e l’intimidazione. E la repressione aumenta nelle fasi di crisi, nelle quali sistematicamente il malcontento cresce, la presa di coscienza è più diffusa e il vento di cambiamento soffia più forte di prima.

Prima di arrivare a Bruno e la sua vicenda è opportuno fare un passo indietro. MpSI nasce formalmente come partito, dopo anni nei quali si era proposto come un movimento, dandosi una propria struttura e una precisa organizzazione, nel luglio del 2004. Ma già l’11 Luglio 2006, dieci dei suoi militanti sono stati arrestati con l’accusa di “associazione sovversiva”: scarcerati dopo 7 mesi ma ancora non rinviati a giudizio, il tutto nell’ambito dell’operazione Arcadia, operazione finalizzata a veicolare in Sardegna, come in Italia, l’idea che il movimento indipendentista sia qualcosa di criminale, di violento. Lungo questa linea d’onda purtroppo si muovono anche vari sardi, tra cui il ministro Pisanu con il suo famoso “Teorema” che sosteneva un ragionamento basato su informazioni riservate che identificava l’area anarco-insurrezionalista, comunista ed  indipendentista  sarda come l’epicentro di un sisma terroristico destinato a destabilizzare le istituzioni.

Dalle parole di Pisanu agli arresti del 2006 il passo è breve, con un contorno repressivo sistematico e sempre più stringente. Dai presidi delle forze dell’ordine nei luoghi privati nei quali i militanti si riuniscono e formano le loro assemblee  fino ad arrivare alle  perquisizioni, dai pedinamenti alle intimazioni ai conoscenti di appartenenti al partito indipendentista di allontanarsi dai militanti stessi ed evitarne la frequentazione. Insomma: dividi et impera.

A questi indipendentisti, quelli più attivi sul territorio, più a contatto con la gente sarda, quelli difficilmente addomesticabili, quelli che denunciano gli abusi dello stato italiano sulla nostra terra, in questi anni sono stati attribuiti vari aggettivi e sono stati accostati a svariate correnti: rivoluzionari, marxisti-leninisti, anarco-insurrezionalisti etc. Un’operazione di discredito e criminalizzazione mirata ad evitare che le idee e l’azione indipendentista potessero ricevere sempre un maggior consenso dalla popolazione e questo è, per il colonizzatore, un pericolo. Il fermento culturale nell’Isola fa paura visto che lo stato coloniale italiano è abituato, dal dopo-guerra ad oggi, a poter letteralmente fare in Sardegna ciò che più ritiene opportuno per il perseguimento del proprio interesse, anche grazie a partiti nazionali che trovano in politici locali dei compiaciuti referenti, vedi Pisanu. 

Fa paura che molti sardi invochino il diritto di autodeterminazione dei popoli per poter essere artefici del proprio futuro, in una terra di pace, non rinchiusa in una gabbia di interessi superiori, italiani e internazionali, che all’Isola in questi decenni hanno portato tutto tranne che prosperità e benessere. E questo malcontento e questo attivismo creano disagio visto che lo Gnosis, rivista italiana di intelligence legata al SISDE, nel 2005 pubblica un numero intitolato “Sardegna Laboratorio Politico”. Ecco cosa teme lo stato italiano.

Del documento (eccovi il link: http://www.sisde.it/gnosis/Rivista3.nsf/servnavig/7#(1x) ) è opportuno qui riportare due passaggi, l’apertura e la chiusura.

“Consideriamo la Sardegna come una sorta di moderno laboratorio politico, perché essa ci appare come una terra in cui si dibatte e si discute, un luogo in cui l’alto tasso di cultura politica fa sì che fenomeni, spesso considerati dai ‘continentali’ come semplici espressioni del malcontento popolare o fattispecie di reati perseguibili dalla legge, vengano valutati e analizzati in una prospettiva più ampia, che tiene conto anche delle radici storiche e culturali dell’ isola. E’ una terra in cui l’estremismo tenta l’esperimento, sinora fallito ‘in continente’, di convogliare in un unico alveo le più diverse istanze ‘anti-sistema’, in nome di un obiettivo comune che, in questo caso, si identifica con ‘la liberazione dallo Stato colonizzatore italiano’.”

E poi, fondamentale:

“Potremmo definirla ‘laboratorio’, dove l’appartenenza ad uno specifico ceppo etnico-culturale ha reso possibile l’esperimento, sinora fallito in continente, di far prevalere le istanze di aggregazione rispetto alle specifiche ideologiche, all’interno di un processo di coesione nel fronte antagonista sardo che potrebbe avere sull’isola prospettive di ulteriore sviluppo allo scopo di annientare quel fenomenale processo etnocida che ha determinato nei ‘dannati della terra’ sardi il sentimento di vergogna delle proprie origini e della propria cultura”.

“Allo scopo di annientare quel fenomenale processo etnocida…” Che vuol dire in termini più comprensibili?

Ciò che lo stato italiano teme maggioramente è che sempre più sardi si spolverino di dosso un annoso complesso di inferiorità e decidano finalmente in autonomia cosa sia meglio per la propria terra. Teme che ci siano sempre meno persone nel popolo sardo disposte a recepire come sacrale tutto ciò che il governo italiano impartisce “dal continente”.

Preferirebbero che il sentimento di vergogna delle proprie origini e della propria cultura persista, in quanto, in tal caso, l’attività coloniale avrebbe gioco facile e vita lunga. Data una popolazione che si vergogna di se stessa basterebbero pochi slogan e qualche promessa affinchè il popolo sardo si pieghi completamente al volere italiano. Purtroppo per loro, fortunatamente per noi, così non è.

Quel processo etnocida e di castrazione culturale ha dei retaggi piuttosto diffusi ma a poco a poco l’emancipazione e la voglia di autodeterminazione si stanno facendo sempre più concreti, e proporzionalmente cresce l’attività repressiva al fine di spegnere le realtà indipendentiste più attive e radicali.

Se qualcuno pone in evidenza le contraddizioni e gli interessi ambigui dello stato italiano in Terra Sarda, come si può far credere ai sardi che qualsiasi attività italiana sul territorio sardo viene realizzata nell’interesse dei sardi stessi?

Ed è proprio questo che operazioni come Arcadia vogliono ottenere, il silenzio e l’accondiscendenza. Per ottenere ciò vengono mosse le accuse più disparate: eversione, cospirazione, sovversione, terrorismo, tentivo di ricostituzione delle Brigate Rosse, pianificazione di attentati al G8 de La Maddalena, etc.

In occasione dell’incontro tenutosi a Sassari per presentare Bruno da uomo libero (sotto il video del suo intervento) il portavoce di MpSI, Cristiano Sabino, è chiarissimo: “Ci hanno accusato di eversione e terrorismo ma MpSi ha fatto una scelta. MpSI fa ciò che dice e dice cosa fa, quindi se avessimo pensato che la lotta armata sarebbe potuta essere il mezzo migliore per la nostra causa avremmo scelto quello apertamente. Invece no, abbiamo scelto di darci un’organizzazione pubblica e proseguire il nostro operato per la causa indipendentista in modo deciso ma estraneo a tutte le accuse mosse in questi anni”.

É proprio su queste ultime accuse che Bruno Bellomonte viene arrestato il 10 Giugno 2009 a Roma. L’accusa é che stesse progettando un attentato con imprecisati modellini radiocomandati in occasione del G8 maddalenino e di voler ricostruire inoltre, insieme ad altre persone messe nello stesso calderone giudiziario, le BR.

Già in occasione degli arresti del 2006 ci si accorse della falsità delle accuse mosse e si appurò subito che l’obiettivo era mandare un messaggio agli attivisti indipendentisti e a chiunque si volesse avvicinare a loro: non ci provate o finite male.

In occasione degli arresti del 2006, Bruno Bellomonte uscì per primo perché aveva potuto dimostrare tramite un visto sul passaporto di non trovarsi nel luogo dell’intercettazione che gli era addebitata con sicurezza dagli agenti della Digos, ma bensì in viaggio per vacanza, per la precisione in Tunisia. Ora immaginate voi se il viaggio fosse stato svolto in un qualsiasi paese dell’Unione Europea dove non è necessario nessun visto. In questo caso solo una semplice coincidenza ha smascherato un’accusa montata ad hoc per giustificarne l’arresto.

In questi 29 mesi nulla di concreto è stato provato. Non vi era e non vi è in MpSI nessuna attività eversiva da bombaroli notturni ma solo un’ attività ferma e decisa di denuncia delle condizioni del popolo sardo e di come l’attenzione italiana nei confronti della nostra terra segua, ormai da decenni, logiche di exploitation, ovvero sfruttamento, coloniale aggiungerei.

Per dirla parafrasando il discorso di Bustianu Cumpostu (foto sopra), leader di Sardigna Natzione, altro partito indipendentista, possiamo affermare che, sì è vero, nella nostra terra è in corso una generalizzata azione eversiva. Inquadriamo allora quest’azione in modo da poter attribuire le responsabilità.

La Saras inquina e lascia nell’Isola solo le briciole del suo business miliardario e i tanti morti sul lavoro, volendo anche attualmente, per inciso, trivellare nella zona di Arborea.

Le aziende pubbliche dello stato italiano impongono tramite i finti rappresentanti seduti in Via Trieste, la distruzione di una struttura produttiva sarda radicata da secoli per volerne impiantare una, la chimica ad esempio, che nulla ha a che vedere con le attitudini, le conoscenze, il know-how e la morfologia della nostra terra.

Le industrie belliche e la Difesa dello stato italiano spadroneggiano in lungo e in largo, sperimentando e inquinando, da Quirra a Perdasdefogu, da Capo Frasca a Decimomannu, occupando il territorio con la messa a punto di azioni di morte che daranno i loro frutti un po’ ovunque, dalla Palestina al Kurdistan. Un popolo sardo oppresso ottiene “benessere” (vorrebbe ottenerlo, precisano le voci dei morti di Quirra provenienti dall’oltretomba) contribuendo in maniera attiva all’oppressione degli altri popoli in giro per il mondo. Mors tua, vita mea. E’ progresso questo?

I radar che lo stato italiano vorrebbe mettere su ogni cucuzzolo della nostra isola spappolano i cervelli, i testicoli e le ovaie della gente sarda che ospita sul proprio territorio questi strumenti in nome di un megalomane e imperialista controllo dei mari.

Ora chiedo ai sardi e non che leggeranno questo articolo, chi è il terrorista? É terrorista chi spadroneggia e distrugge economicamente e fisicamente una terra oppure è terrorista chi vi si oppone? É terrorista chi si oppone o chi si piega al compromesso e alla contiguità? Chiedetevi da chi ci si dovrebbe guardare. Io una risposta me la sono data e sono arrivato alla conclusione che, come disse il drammaturgo tedesco Bertold Bretch, tutti parlano e giudicano la rabbia del fiume in piena, ma nessuno fa lo stesso con gli argini che lo costringono.

Tornando a Bruno e alla sua vicenda vi sono molte cose che pochi sanno, visto l’isolamento mediatico dedicato a lui dalla stampa sarda e sopratutto italiana.

Pochi sanno infatti che in questi 29 mesi Bruno Bellomonte è stato trasferito in vari carceri, tutti rigorosamente il più lontano possibile dall’Isola, in modo da rendere più complicato l’incontro con il suo avvocato, i suoi affetti, i suoi compagni. Il tutto in barba delle leggi dello stato italiano in merito alla territorialità della pena e dei più elementari diritti umani.

Pochi sanno che Bruno era candidato a sindaco di Sassari nel giugno 2010 e, nonostante la carcerazione e l’oscuramento mediatico, in quell’occasione ha conseguito circa mille voti. Segno di un interesse crescente verso la sua vicenda e quella dei movimenti indipendentisti. E questo spaventa chi vorrebbe controllare con ogni mezzo e per ogni interesse la colonia nel centro del Mediterraneo.

Pochi sanno che qualcuno ha avuto minor sorte di Bruno. Luigi Fallico, romano, arrestato anch’egli nel 2009 per l’organizzazione di questo fantomatico attentato al G8, è morto d’infarto in carcere il 23 maggio scorso. Queste le dichiarazioni del suo avvocato, Caterina Calia: “Il 17 maggio scorso aveva accusato un malore, con violenti dolori al petto. La pressione era 110 minima e 190 di massima. Si sarebbe dovuto disporre il trasferimento in ospedale. E invece è stato riportato in cella”. Dello stesso processo che ha visto Bruno imputato vengono condannati in primo grado: Massimo Riccardo Porcile (7 anni e 6 mesi), Gianfranco Zoja (8 anni e 6 mesi) e Bernardino Vincenti (4 anni e 6 mesi), ritenuti colpevoli di aver tentato di ricostituire le BR.

Pochi sanno che l’isolamento in questi casi viene perpetrato in primis sul posto di lavoro. Bruno ha perso il suo lavoro come operaio e sindacalista dell’azienda dello stato italiano, Trenitalia, e come lui Riccardo Antonini, sindacalista e consulente per le famiglie costituitesi parte civile nel processo per la strage ferroviaria di Viareggio. La direzione di RFI (Rete Ferroviaria Italiana, società controllata dal gruppo Fs) aveva inviato una prima diffida al ferroviere in data 5 luglio 2009, seguita da una contestazione il 19 luglio. Il 10 agosto, Antonini è stato sospeso per 10 giorni. L’8 ottobre è stato licenziato.

Nelle motivazioni anche un’ inquietante “incompatibilità del ruolo di consulente tecnico con quelle che sono le politiche aziendali delle Ferrovie”. Se il fare chiarezza e giustizia su un accaduto simile non rientra nelle politiche aziendali allora ci spieghi lei, signor Moretti, AD del Gruppo FS, cosa rientra nelle vostre politiche aziendali. Bisognerebbe spiegarlo invece di, tra le altre cose, allegare nella motivazione del licenziamento per giusta causa anche le presunte ingiurie che Antonini ha rivolto a Moretti in occasione della festa del PD il 9 settembre a Genova. Se qualcuno vuol sapere di più sull’ AD delle Ferrovie italiane ecco qui:

http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2011/06/20/interrogatorio_luigi_bisignani_gianni_letta_pm_napoli_p4.html

Ogni scusa è buona per gettare fumo negli occhi, distrarre l’opinione pubblica e confondere le acque. A Riccardo Antonini e alle famiglie delle 33 vittime va un pensiero di supporto.

Il ricatto occupazionale, per quanto non violento fisicamente, è sempre uno degli strumenti repressivi più subdoli e vigliacchi. Si vuole infatti introdurre e consolidare una dipendenza economica, vista la distanza abissale da un punto di vista ideologico, affinchè il dissidente sia forzato ad essere asservito e legato a filo doppio allo stesso sistema od organizzazione contro i quali si sta battendo.

Per concludere, questo è l’intervento di Bruno Bellomonte in occasione dell’incontro sassarese:

http://www.youtube.com/watch?v=w-t5NSV2XyE&feature=share

Alla fine della mattinata, dopo aver ascoltato i vari interventi, in tanti si avvicinano a Cristiano e Bruno per un saluto e  per dare, a quest’ultimo, un personale bentornato e un  appoggio per le nuove battaglie, tra  le quali rientra la riconquista del suo lavoro.

Bruno, un po’ provato, mi chiede da dove io venga e alla mia risposta dice: “Magari ci rincontreremo, a Tempio verremo. Noi giriamo tanto.”

Annuisco, lo abbraccio e vado via, un po’ preoccupato per quello che la gente della mia terra è costretta a subire, ma rincuorato dall’avere avuto la conferma, una volta di più, che parte di quella stessa gente è ribelle e non sarà mai doma.

A presto Bruno, Fintzas a s’Indipendentzia.

Luigi Piga.

Un pensiero su “Bruno Bellomonte: tra indipendentismo e repressione coloniale, di Luigi Piga

  1. Ho letto con attenzione le tue parole e non posso che rallegrarmi per l’esito positivo della vicenda giudiziaria di Bellomonte. Lascia il segno però. Ho militato, come sai, in iRS e poi in ProgReS e anche in quegli ambienti ho saputo che durante i primi anni 2000 alcune delle riunioni venivano presidiate dalle forze dell’ordine italiane. Possono ritenersi fortunati Gavino Sale, Omar Onnis, Franciscu Sedda e compagnia. A Bruno è andata diversamente ma ora sono le stesse istituzioni che hanno incriminato ed incarcerato un uomo libero a decretarne l’inesistenza di prove che lo possano condannare…ma il segnale è stato parecchio duro. Sorrido perchè so bene quanto queste intimidazioni lascino il tempo che trovano nei cuori ardenti e nelle coscienze libere dei tanti sardi indipendentisti che conosco. Troppo forte è la nostra identità e la nostra consapevolezza della storia per poter piegare la testa. La benda negli occhi figura in una bandiera importata; il nostro vero simbolo, il nostro alberello esprime un’immensa voglia di vita. E’ ineludibile il percorso storico e culturale che ci porterà, come già avvenuto in passato, ad essere nazione libera. Faber, nel suo discorso sulle minoranze, parlava del diritto di assomigliare a se stessi. Fintzas a s’indipendentzia Luì!!!

    F.P.
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    RIPORTO QUI IL COMUNICATO DI ProgReS sulla vicenda:

    ProgReS – Progetu Repùblica apprende con soddisfazione e sollievo la conclusione positiva della vicenda giudiziaria di Bruno Bellomonte ed esprime le sue felicitazioni ad a Manca pro s’Indipendèntzia, cui rinnoviamo la nostra solidarietà politica.

    Abbiamo sempre giudicato inaccettabile il principio secondo il quale una forza politica sarda possa essere messa sotto accusa per il solo fatto di esistere. L’obiettivo dell’indipendenza della Sardegna non può essere considerato un sinonimo di eversione, tanto meno usato come motivo di persecuzione giudiziaria. Confidiamo che da questo punto di vista la sentenza riguardante Bruno Bellomonte sia uno spartiacque, una cesura definitiva.

    Le incomprimibili istanze politiche di libertà e di dignità dei sardi non possono e non devono essere frustrate strumentalmente e con mezzi del tutto impropri, dentro un ordinamento giuridico democratico. Specie quando vengono promosse in termini aperti, democratici, propositivi e nonviolenti. Nessuna repressione potrà negare la legittimità dell’aspirazione dei sardi all’indipendenza nazionale nell’ambito del diritto internazionale e dei diritti umani formalmente riconosciuti.

    ProgReS – Progetu Repùblica proseguirà il lavoro intrapreso al fianco di a Manca pro s’Indipendèntzia e con le altre forze indipendentiste, coinvolgendo progressivamente altre forze sociali, politiche e culturali, per costruire insieme una forte consapevolezza collettiva, fino al raggiungimento della nostra emancipazione storica.

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