Sulle note del coro Ortobene, per sognare un po’ oltre, di Filippo Pala

Ho acceso, come da cattiva abitudine, una sigaretta nelle scale della New York Public Library e camminando verso la fermata della metropolitana Grand Central Station mi sono confuso fra le migliaia di persone che trafficano la midtown. La mente iniziava ad immaginare le tinte del quadro che avrei trovato davanti di lì a poco in pieno Greenwich Village, a pochi metri dalla NYU. A passo lento ho raggiunto Casa Italiana Zerilli/Marimò vivendo col massimo rispetto la personale perplessità per l’incoerenza della sede che avrebbe ospitato il concerto del Coro Ortobene di Nuoro. Senza niente togliere alla nobiltà della “Casa”, la cui qualità degli eventi ha abbondantemente varcato i confini cittadini, ho trovato una certa forzatura nell’incastro fra la provenienza del Coro e la sede ospitante, la cui mission è dichiaratamente quella di diffondere la cultura italiana fuori dai confini nazionali. Ho pensato che, per quanto non improvvisato e benché meno superficiale, questo contorcimento identitario fosse solo di mio appannaggio in quella speciale serata sardo-newyorchese e così ho riposto la volontà di aprire un serio e sereno dibattito indipendentista a giorni e contesti migliori. Ecco che, dopo aver incrociato gli sguardi discreti dei raffinati abitanti del quartiere, dal buio della stretta ed alberata 12nd Street, ho notato il contrasto del rosso sul bianco sul vestito dei coristi nuoresi. Pregustandomi il momento, ho avvicinato le tre persone che stavano chiacchierando appoggiate alla ringhiera esterna della Casa ed ho creduto di poterli sorprendere con una battuta dalle doppie marcate. Malgrado il rafforzarsi della mia coscienza identitaria, ho dovuto constatare in un lampo che il mio accento, mai stato fortissimo, ha ulteriormente perso di tono negli ultimi anni di studio a Milano. <<E di dove sei?>> mi ha chiesto il più adulto dei tre, riconoscendo comunque benissimo la mia origine isolana. Risposta è stata secca e piena d’orgoglio <<Tempio!>>. <<Eh bella Tempio>> ha subito replicato senza che potesse percepire il mio immenso piacere per averli incontrati e riconosciuti, nella loro cadenza e nelle loro poche parole, come i miei fratelli più stretti. Come i miei conterranei. Nella hall la piacevole conoscenza del direttore della “Casa”, Stefano Albertini. Un bell’uomo sorridente e spigliato col quale ho avuto il piacere di scambiare due chiacchiere sul motivo della mia presenza negli Stati Uniti. Al piano interrato c’è l’auditorium, una sala che per il suo essere così raccolta ed accogliente fa intendere la qualità elitaria delle rappresentazioni musicali e più in generale culturali che la “Casa” mette in scena molto spesso. Accompagnati dagli applausi generosi di una platea perlopiù americana e marcatamente adulta prendono possesso del palco, a passo svelto, i venti coristi in abito sardo.
L’introduzione del direttore del coro Alessandro Catte, che qui sintetizzo in poche parole, è per me emblematica della nostra sardissima psicosi collettiva:
<<Salve a tutti e grazie per essere qui stasera. Ci tengo molto a dire che noi sardi ci sentiamo ovviamente a pieno titolo italiani MA abbiamo molto radicate le nostre più intime origini e peculiarità ed oggi ve le racconteremo in musica>>. Sento una botta dentro di me. Per l’ennesima volta nella mia più lucida e consapevole esperienza riscontro nelle parole dei miei conterranei questa dicotomia dove a pesare maggiormente è la seconda parte, quella dopo il “ma”. Il concerto, i cui suoni ancestrali e gravi affascinano visibilmente i presenti in un intervallarsi di canti e spiegazioni dei brani. Si parla dei sentimenti e dei soprusi che <<il popolo sardo subiva e non poteva dire apertamente ed allora li cantava nelle canzoni popolari di cui oggi daremo testimonianza>>. Ancora un colpo al cuore. Si parla istintivamente di popolo sardo ed direttore della “Casa” traduce correttamente ed alla lettera “sardinian people”. Chissà se le persone che assistono allo spettacolo conoscono la storia degli abitanti della Sardegna, così lontana dalle loro coste e così omessa dalle narrazioni dei libri di storia ufficiali. Se lo chiede l’alberello d’arborea che ho tatuato sul cuore quando alle parole “popolo” ed “intime origini” si corre avanti senza riflettere sul significato più vero e più scomodo. Lo spettacolo va avanti, prosegue intenso nell’alternarsi dei toni alti e bassi dei coristi. Talvolta è fatto di assordanti silenzi. Riprende incalzante con la melodia che origina dall’antico suono delle greggi e canta le parole di poesie immensamente belle.
Lo spettacolo in Sardegna è la negazione dello stesso. La millenaria cultura dell’isola e le sue bellezze naturali, all’opposto dei luccicanti bagliori di Times Square e del modulotipico delle società industriali, è un piacere per palati molto fini. E’ nella normalità del quotidiano, nella saggezza matriarcale, nei saperi artigiani, nella grama vita pastorale e talvolta della desolazione di un paesaggio disabitato dall’uomo che un acuto osservatore può scorgerne la bellezza più vera ed appagante. E così, in linea con quanto detto, il coro Ortobene ha trasmesso sia melodicamente che in maniera gestuale tutto il contatto possibile fra la terra e l’uomo che la abita suscitandomi personali ricordi e profumi, illustrandomi scene di vita quotidiana che ben ricollego alla mia casa, al mio paese ed alla mia profonda ed esclusiva radice sarda. L’emozione della serata affascinante è stata per me un netto sentire ardere il profondo dell’anima e sono certo abbia significato per i presenti una piacevole serata al di fuori del frastuono di Manhattan e non di meno una scoperta che auguro loro possano felicemente approfondire.

8 pensieri su “Sulle note del coro Ortobene, per sognare un po’ oltre, di Filippo Pala

  1. Leggerti è un brivido profondo che corre lungo la schiena.
    L’emozione che ho provato scorrendo tra le righe è forte.
    Forte è questo senso identitario radicato nella storia della letteratura, del territorio, della lingua e della tradizione di un popolo dalla scena etnologica unica e pura, come quella della nostra Sardegna.
    Bisogna averne piena consapevolezza… Sempre così! Baci Fil.

  2. Non ho alcun dubbio circa le emozioni e l’intimo sentire che può provocare una manifestazione come quella che dipingi per di più così lontana dalla ns. terra d’origine e, casualmente, imbattervisi contro. E’, davvero, un colpo al cuore, piacevole, forte, ancor più vero e del tutto profondo nel ns. animo. Per voi tutti “in disterru” è ancor più amplificato e ciò dà il senso di appartenenza che noi sardi, più che ogni altro popolo, sentiamo. A me, che pur vivo nella quotidianità quei suoni, o attraverso le note de”Su bubugnulu, piuttosto che le prime incisioni di Mario Scanu, magari della sua ineguagliabile”Disisperada” “mi si picchini, donzi olta sas pilos che suddhos de polcu”. E’ stato bello leggere il tuo reportage perchè ampiamente condiviso.

  3. Sono molto contento di avervi trasferito, anche se solo in parte, la carica emotiva di quella bellissima serata. A Maria Teresa il mio augurio perchè prosegua nel ricco, nobile ed intimo percorso di consapevolezza delle proprie radici…e a te, babbo, va la mia più grande stima per i versi toccanti che sai regalare con così tanta umiltà e discrezione. A presto :)

  4. La ringrazio profondamente per i suoi complimenti e soprattutto per l’intensa attività culturale che, come “Casa Italiana”, porta avanti con grande capacità e successo. Ci rivedremo giovedì per l’incontro con Saviano e Roubini!

    A presto e grazie ancora,

    FP

  5. Ciao Filippo, ho letto con piacere il Tuo articolo che ho condiviso subito per dare modo a tanti altri di leggerlo. Sono Marco, il più anziano dei tre, quello che ti ha chiesto di dove eri, quello che ti ha detto “Bella Tempio”. Ti ringrazio per quanto da te scritto, a nome mio e di tutti i ragazzi del Coro Ortobene, quando si è lontani da casa si avverte maggiormente l’attaccamento alle prioprie origini e alla prorpia cultura, fatta di tradizioni nobili che si perdono nella notte dei tempi. Noi queste emozioni cerchiamo di raccontarle …..cantando, fieri di essere italiani di nazionalità sarda. Mi auguro di rincontrarti presto per condividere altri momenti forti come quello da te perfettamente descritto. A nor biere sanoso e semper sardos. Chin salude
    Marco Zoppi Coro Ortobene – Nuoro

  6. Ciao Marco e Alessandro!!!

    Grazie per aver commentato sul blog, mi fa molto piacere risentirvi!!!
    Col vostro entusiasmo, con la vostra immensa dignità e capacità siete fra coloro che non si limitano solamente a vivere la Sardegna ma vi fate custodi e promotori attivissimi della nostra preziosa cultura. Ad ognuno il suo piccolo ruolo, voi il vostro lo svolgete egregiamente!!!

    Un saluto caro a tutti voi del Coro Ortobene,

    A chent’annos e, pro contu meu, fintzas a s’indipendentzia!!!

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